Quante volte avete sentito parlare di sindrome di Peter Pan? Tanti, troppi i soggetti che ne sono affetti. Ma di cosa si tratta realmente? La sindrome di Peter Pan viene definita comunemente come una particolare situazione psicologica nella quale ci si ritrova un soggetto fortemente immaturo, che si rifiuta di crescere, di diventare adulto, di assumersi quelle che, dalle persone mature, sono chiamate responsabilità. Tutti i Peter Pan si rifiutano di stare ed operare nel mondo degli adulti poiché lo si ritiene ostico e troppo difficile, quindi, meglio rifugiarsi in un mondo infantile, dedicato ai fanciulli. Il termine sindrome di Peter Pan entrò a far parte del linguaggio comune quando, nel 1983, Dan Kiley pubblicò un libro dal titolo The Peter Syndrome: Men Who Have Never Grown Up. Da allora, il termine è stato sempre più impiegato per riferirsi agli individui che, seppur avendo un’età avanzata, si sforzano il più possibile per apparire giovani. Ad essere affetti dalla sindrome di Peter Pan sono, solitamente, gli uomini compresi nella fascia di età tra i 40 e i 60 anni, i quali cercano di sembrare più giovani, facendo, dicendo e comportandosi come ventenni alle prime armi col mondo delle responsabilità. Vi siete mai chiesti il perché di tutto questo? Gli scienziati inglesi sono riusciti a dare una parziale risposta trovando il cosiddetto gene di Peter Pan. Certo, si tratta di una forzatura pensare che esista un solo gene in grado di condizionare un simile comportamento, la sindrome appunto, in quanto l’età biologica è legata a molteplici fattori, tra cui spiccano lo stile di vita più o meno sano e vizi, come quello del fumo o dell’alcool. La ricerca del team inglese è stata pubblicata su Nature Genetics. Nilesh Samani, cardiologo dell’Università di Leicester ha spiegato come la ricerca e lo studio su questa sindrome potrebbe giovare per l’identificazione dei pazienti esposti a rischi tipici dell’invecchiamento e ad identificare particolari disturbi cardiaci: «Lo studio può aiutarci ad identificare quei pazienti che hanno maggiori rischi di sviluppare malattie comunemente legate all’invecchiamento ma anche patologie cardiache e alcuni tipi di cancro». L’equipe di Samani, in collaborazione con quella del professor Tim Spector del King’s College, è riuscita a mettere in luce le differenze fra l’età cronologica e quella biologica, scoprendo così, grazie a un semplice esame del sangue, che gli individui portatori di una particolare variante genetica presentano i telomeri (regione terminale del cromosoma) più corti; in altre parole, risultano biologicamente più vecchi anche di 3-4 anni rispetto ai coetanei. Il professor Spector ha così spiegato quanto scoperto: «Le varianti si trovano sul cromosoma 3, in prossimità del gene TERC, e questo ci suggerisce che ci siano persone geneticamente programmate per invecchiare ad una maggiore velocità e che hanno così una più alta possibilità di soccombere a malattie correlate all’età».
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