I dolcificanti di sintesi appartengono a quel gruppo di dolcificanti sintetici diversi da quelli naturali per composizione, e per i quali esistono dosi massime giornaliere che devono essere rispettate per evitare effetti collaterali più o meno gravi.
Questo tipo di dolcificanti artificiali hanno senza dubbio il vantaggio di conferire ai cibi e alle bevande a cui vengono aggiunti un sapore notevolmente dolce, senza però intaccare l’apporto calorico o energetico: proprio in funzione delle dosi massime giornaliere stabilite, ogni articolo alimentare in vendita contenente dolcificante è stato sottoposto a rigidi controlli che rispettassero questi limiti.
Infatti, in generale, si può dire che proprio perché chi usa dolcificanti tendenzialmente lo fa con diversi alimenti – yogurt, bibite amare come thè e caffè, marmellate, proteine in polvere, caramelle – è ragionevole limitare a un terzo di quella teorica la dose massima pratica per ogni singolo alimento.
Quando sulla confezione di un prodotto alimentare, l’etichetta riporterà la scritta “senza zucchero” questo non significa che il prodotto non ha alcun tipo di dolcificante: l’etichetta senza zucchero significa che in quel prodotto non è presente il saccarosio, ma lo saranno sicuramente dei dolcificanti artificiali o di sintesi.
Il dolcificante artificiale o di sintesi più conosciuto è certamente l’aspartame: questo dolcificante, formato da acido aspartico e alanina, è facilmente solubile – motivo per cui viene utilizzato soprattutto per dolcificare le bevande amare classiche come thè o caffè – e a ridotto apporto calorico. Scoperto nel 1965 – e successivamente sottoposto a molti studi scientifici – ha un effetto dolcificante 200 volte maggiore del saccarosio. La dose giornaliera accettabile per la popolazione italiana è di 40 mg/kg di peso corporeo, e sebbene non siano registrati molti casi di allergia all’aspartame, esso è tuttavia sconsigliato in persone con disturbi del metabolismo della fenilalanina.
L’acelsufame potassico è un altro dolcificante di sintesi dotato di un potere dolcificante circa 200 volte più forte del saccarosio, che, a differenza dell’aspartame, è a contenuto calorico nullo. La dose giornaliera accettabile secondo la FAO è pari a 15 mg/Kg di peso corporeo.
Il terzo dolcificante di sintesi da ricordare è la saccarina, con potere dolcificante 450-600 volte maggiore di quello del saccarosio, solubile in acqua e impiegata come dolcificante in sciroppi, cibi e bevande. Un tempo era considerata cancerogena, ma nonostante nel 2000 gli Stati Uniti abbiano deciso di ritirarla dalle liste degli alimenti cancerogeni, le dosi consigliate secondo l’OMS sono pari a 5 mg/kg di peso corporeo.
Il sucralosio (ovvero il triclorogalactosaccarosio) è 600 volte più dolce del saccarosio, ma non fornisce energia. Venne approvato nel 1988 dalla FDA americana che nel 1990 fissò una dose massima consigliata di 15 mg/kg di peso. Esso è e ottenuto mediante la clorazione controllata del saccarosio.
Il ciclammato, invece, viene considerato fra i dolcificanti più a rischio, tanto che nel 2000 il comitato scientifico dell’Unione Europea ne ha ridotto notevolmente la soglia di sicurezza. Esso è un derivato dell’acido ciclammico, ha un potere dolcificante 50 volte superiore a quello del saccarosio ed è utilizzato nell’industria come edulcorante da tavola.